Informazioni

FLORA E FAUNA

La flora presente nell’area attraversata dai sentieri del “Saretto” e del Monte Saro, sui versanti esposti a sud, è caratterizzata dalla presenza di specie tipiche della macchia mediterranea, si riscontrano infatti:  lentisco (Pistacia Lentiscus), mirto (myrtus communis), leccio (Quercus Ilex), Orniello (fraxinus ornus), ginestre (Spartium). Sono presenti inoltre residui di rimboschimenti di conifere (Pinus Pinea e Pinus Aleppensis) realizzati negli 60-70.

Nei versanti settentrionali, più freschi ed umidi, troviamo boschi di castagno (Castanea sativa), roverrella (Quercus Pubescens) e leccio (Quercus ilex), carpinella (Carpinus orientalis)

Tra le specie erbacee troviamo: graminacee sp. asfodeli (Asphodelus), cardi (Cardus), e nelle zone più fresche anche fragoline di bosco (Fragaria vesca).

Nell’area si riscontrano anche zone coltivate ad uliveti.

Da un punto di vista faunistico l’area è caratterizzata dalla presenza di diverse specie di uccelli sia di passo (uccelli migratori) che stanziali, mammiferi  e invertebrati, tra le principali troviamo:

Calandro (Anthus campestris)

averla piccola (Lanius collurio)

quaglia Coturnix coturnix

fagiano Phasianus colchicus

beccaccia            Scolopax rusticola

tortora Streptopelia turtur

cantarella            Alauda arvenis

merlo    Turdus merula

cesena Turdus pilaris

tordo bottaccio Turdus philomelos

tordella                Turdus viscivorus

colombaccio      Columbia palumbus

 

MAMMIFERI

rinolofo minore                Rhinolophus hipposideros

rinolofo maggiore           Rhinolophus ferrumequinum

rinolofo mediterraneo  Rhinolophus euryale Blasius

 

INVERTEBRATI,  ANFIBI E RETTILI

Libellula               Ceriagrion tenellum

ululone a ventre giallo   Bombina variegata

cervone               Elaphe quatuorlineata

Raganella            Hyla italica

Ramarro              Lacerta viridis

Lucertola muraiola          Podarcis muralis

Lucertola campestre      Podarcis sicula

cervo volante    Lucanus cervus

 

 

 

CENNI STORICI

La chiesa di S. Matteo Apostolo

La chiesa di S. Matteo Apostolo sorge nel quartiere Terravecchia, antico nucleo cittadino di Sarno. Sull’origine di questo monumento esistono diverse tesi: una secondo cui la chiesa fosse stata edificata per volere del conte Indulfo I, un’altra che vorrebbe la chiesa eretta in Sarno qualche tempo dopo quella omonima di Salerno, ad opera dello stesso principe di Salerno Roberto il Guiscardo, che si sarebbe impegnato a proprie spese nell’edificazione della chiesa nell’anno 984.

Altre fonti asseriscono addirittura che la chiesa, dedicata in un primo tempo a S. Angelo, fosse antecedente l’anno 984 e che solo in questo periodo sarebbe stata dedicata a S. Matteo, essendo state le sue spoglie trasferite nella città di Salerno. A supporto di questa tesi, alcuni storici locali come il Nocera e il Normandia, sostengono che la chiesa di S. Matteo fosse stata cattedrale negli anni precedenti il 1066. È convinzione generale, comunque, che l’edificazione debba datarsi intorno alla fine del X secolo.

La chiesa di S. Matteo chiude il lato orientale del borgo di Terravecchia. La sua posizione fa pensare che in passato avesse anche funzione di fortezza, dato che è proprio a ridosso di una delle due porte medievali della città murata.

Il primo restauro risale al 1546, quando il conte Vincenzo Tuttavilla rifece la navata destra ove è ubicata la cappella con l’altare del SS. Sacramento. È comunque nel 1854 che inizieranno importanti lavori di restauro, che lasceranno inalterata la struttura ma non l’aspetto della chiesa, grazie al Rettore abate di quel periodo Mariano De Lise che istituì la Compagnia della Buona Morte nel 1871. 

La decorazione interna della chiesa è tipica dell’arte neogotica. La navata centrale porta impresse su ogni pilastro le croci della consacrazione. In capo alla navata sinistra è la cappella di S. Giuseppe, un tempo dedicata a S. Maria della Pietà, in quanto nel 1632 sull’altare era stato posto il dipinto Vergine della Pietà, proveniente dalla chiesa di S. Sebastiano, dopo che l’eruzione vesuviana del 1631 ne aveva fatto crollare il tetto. La cappella della navata sinistra fu intitolata a S. Giuseppe e nel 1729 fu dotata di una statua in onore del santo.

Due nicchie, a lato dell’arco ogivale che segna l’ingresso, contenevano le statue di S. Pietro e S. Paolo, oggi rimosse, conservate per consentire i lavori di recupero della facciata, caratterizzata da una elegante torre campanaria quadrata con orologio.

L’ex convento di S. Domenico

Subito attaccato al circuito murario, vicino alla porta ovest di Terravecchia, si trova l’ex convento di S. Domenico. Struttura di epoca medievale più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, nel XVI secolo fu utilizzata per collocarvi le monache provenienti dal convento di S. Anna di Nocera. Queste vi dimorarono per diversi secoli fino alla soppressione degli ordini religiosi a seguito dei quali il complesso fu adibito a carcere mandamentale, il cui utilizzo ha avuto fino agli anni ‘70 per essere successivamente abbandonato per diversi anni fino al recente restauro che lo ha trasformato in un centro di cultura sede prima della biblioteca comunale e poi di altre istituzioni culturali.

La chiesa di S. Maria del Carmine

La chiesa, probabilmente eretta nel periodo medievale in rapporto alle vicine strutture del castello, in origine era dedicata ai SS. Cosma e Damiano.

Una testimonianza importante ci viene dalla santa visita del vescovo Fusco del 1581 che recatosi sul posto non potette accedere alla chiesa perché non vi era una strada di accesso decente e i luoghi erano coperti da una fitta boscaglia. Constatate che le rendite esigue non permettevano un restauro, il vescovo decretò la chiesa profanata, vi fece piantare una croce ed attribuì le rendite alla chiesa di S. Martino ubicata poco lontano, nella quale fu trasportata l’antica immagine dei santi, collocandola a destra dell’altare. In cambio di tale beneficio nella chiesa si doveva celebrare una messa ogni anno, nella ricorrenza dei SS. Cosma e Damiano.

Circa un secolo dopo nello stesso luogo fu riedificata una nuova costruzione ad opera di Francesco Antonio Corrado, che con la partecipazione delle offerte dei fedeli, costituì l’attuale chiesa. Nello stesso periodo l’edificio fu affrescato dal pittore G. B. Perano e benedetto dal vescovo Monsignor Nicola Antonio de Tura. Nella nuova chiesa fu ripristinato l’antico culto dei SS. Cosma e Damiano al quale venne affiancato quello della Madonna del Carmine. 

Il sacerdote Bernardino Abignente, nel 1771, fece costruire alcune stanze annesse alla chiesa e vi si ritirò conducendo una vita di contemplazione interrotta saltuariamente dalle visite di sacerdoti e fedeli devoti. All’inizio del ‘900 Raffaele Laudisio con altri devoti e con il canonico Nicola Nunziante, vi fecero eseguire diversi lavori di restauro e fecero realizzare lo spiazzo antistante.

Il castello e le fortificazioni

Nel 589 d.C. i Longobardi, guidati da Arechi, arrivarono a conquistare la città di Nola, spingendosi sin nella piana del Sarno. Fu così che le popolazioni superstiti, abitanti nei casali della valle, cercarono di trovare scampo ritirandosi in un nuovo e più sicuro insediamento (borgo Terravecchia) dalla quale era possibile dominare la valle e l'intero andamento del fiume Sarno; qui edificarono le prime case e con le prime fortificazioni della cima della collina, si diede inizio alle vicende storico-architettoniche del castello.

Dalla configurazione attuale si evince che il castello era costituito da un primo nucleo, quello risalente all’epoca longobarda, composto probabilmente da una cinta muraria, in pietre le­gate da malta, rinforzata da torri e posta sulla sommità della collina con andamento piuttosto regolare.

Nell'attuale configurazione architettonica del com­plesso fortificato si distinguono tre circuiti difensivi. Le strutture di quello più interno, in parte visibili e in parte demolite, sono attribuibili maggiormente al periodo normanno-svevo. Attenzione particolare merita la torre esagonale po­sta all'angolo nord-est. Essa si articola su due piani abitabili ai quali vanno aggiunti la cisterna, probabil­mente obliterata dai crolli, e la copertura coronata da beccatelli e caditoie in pietra di Sarno, dai quali si po­teva difendere la principale porta di accesso.

All'inizio del XIII secolo la fortificazione si estende­va su gran parte della collina, aveva inglobato, anche se con architetture diverse e con un impianto piuttosto regolare, il perimetro del recinto fortificato di età Longobarda e racchiudeva un'area di circa 2000 mq. All'interno delle mura del castello erano racchiuse le costruzioni necessarie alla vita quo­tidiana dei difensori. Accanto alla residenza del signore si trovavano i principali ambienti per la difesa e la chiesa denominata dai documenti S. Maria a castello.

Torre Angioina – Torrione XIV secolo

All'accresciuta importanza strategica della contea di Sarno in età angioina corrispose un vasto programma di la­vori di riorganizzazione delle strutture difensive. Tutta la collina e l'abitato di Terravecchia furono risistemati nella nuova murazione che partiva dalla torre angioina a est e scendeva lungo i salti e gli strapiombi fino alla chiesa di San Matteo, inglobando anche un tratto dell'acquedotto romano.

La torre angioina, conosciuta anche come Torrione, presenta tutte le caratteristi­che morfologiche importate dagli architetti provenza­li. La configurazione spaziale data dalla sopraelevazione di un cilindro posto su un tronco di cono e co­ronato da archeggiature su mensole di pietra sagoma­te conferma che la struttura fu costruita proprio in questo periodo. Nella parte superiore si sviluppa un muro gradonato con postierla che la collega alle strutture principali del castello.

 

Torre Orsina - XV secolo

Al periodo aragonese risale probabilmente un consistente ampliamento sul lato est del castello ovvero la struttura distaccata della torre cosiddetta Orsina perché fatta erigere da Daniele Orsini, conte dal 1460 al 1480. Posta a una distanza di circa 100 m all'esterno del circuito murario, la struttura ricopriva un'importanza strategica notevole nella difesa del castello sul lato nord-est. L'alta torre, a becco di sprone, è contornata da un mu­ro basso con aperture atte ad alloggiare armi da fuoco di grosso calibro per la difesa radente; un terzo muro era più a valle a giudicare dalle poche tracce di pietre e malta riscontrabili tra la vegetazione. La torre arti­colata su quattro piani coperti a volta e collegati da una scala ricavata nello spessore murario, ha forma in­terna circolare. Al primo livello si trovano la cisterna e le rampe di scale per l'accesso al livello superiore.

Stando alla tipologia, la scala del piano terra sembra un'aggiunta di epoca successiva, finalizzata a rendere più agevole la comunicazione tra i piani, in rapporto al riuso tardo della struttura. Al secondo livello si trova l'abitazione con il camino, mentre al terzo sono ubica­ti altri ambienti adibiti ad uso abitativo. Il quarto livello, rappresentato dalla copertura e caratterizzato da caditoie e beccatelli in pietra di Sarno e tufo scuro nocerino, era utilizzato per la difesa piombante. La forma acuta ver­so nord-est serviva, verosimilmente, a sostenere me­glio gli attacchi provenienti dall'alto della collina, por­tati con le nuove tecniche d’assalto e le armi da fuo­co.

La posizione, la forma architettonica, il corona­mento con beccatelli e caditoie richiamano ancora una tipo­logia medievale, anche se nell'aspetto sembra trattarsi di un'architettura di passaggio, di epoca rinascimentale, adatta alle nuove for­me di difesa. La tradizione orale vuole che la torre ori­ginariamente fosse collegata al castello attraverso un ponte levatoio che superava l'attuale taglio della via comunale Cantariello. Dopo l'abbandono la struttura ha subito ulteriori notevoli danni durante la Seconda guerra mondiale, a seguito del terremoto del novembre 1980 e per un for­te vento ha subito un ulteriore crollo nel 1997.

Torre Pentagonale - XVI secolo

La Torre Pentagonale è un bastione distante circa 50 m dal nucleo principale del castello, di forma irregolare e fortemente scarpato; nel corso dei secoli è stato trasformato in abitazione e oggi si presenta abbandonato e isolato dalla cinta difensiva, con la quale era origi­nariamente collegato mediante altri corpi bassi. Esso rappresentava la punta avanzata e definiva il circuito difensivo di tutta la col­lina di Terravecchia sul lato nord-ovest; venne aggiun­to alla fortificazione, probabilmente tra il XV e XVI secolo, per fronteggiare, anche da questo lato del ca­stello, le nuove tecniche di assalto con armi da fuoco e cannoni.

Fonte Arch. Federico Cordella

 

La chiesa rupestre di S. Lucia

La chiesa rupestre di S. Lucia sorge nel tratto iniziale dell’omonimo vallone, sotto lo strapiombo roccioso del Pian della Colla e sul versante di via Bracigliano.

Questa piccola e suggestiva caverna naturale, simile alla Grotta del Biscotto di Agerola in costiera amalfitana, fu eretta a chiesa cattolica e intitolata a S. Lucia vergine e martire quasi sicuramente in epoca normanno-bizantina, nei primi secoli dopo l’anno Mille. La conferma della sua esistenza nel basso medioevo ci viene data dal pagamento delle decime negli anni 1308-1310 da parte del suo rettore abate Giovanni Bonamanto.

Dalle fonti è possibile apprendere che nel ‘500, questa chiesa, «supra montem, intus vallonem et in caverna», era retta da Don Guglielmo de Amato, aveva una campana, due altari con l’immagine di S. Lucia tra i SS. Pietro e Paolo e di S. Lucia con la Madonna, piccoli locali ed una cisterna in cui affluiva, come avviene tuttora, l’acqua dal monte superiore. Nel ‘700, dopo circa un secolo di abbandono, venne restaurata, «noviter erectam» ed amministrata dal Seminario.

Verso la fine dell’800, lo storico canonico Pietro Nocera scriveva: «Il culto dei Sarnesi verso i santi martiri dei primi secoli della Chiesa…» (S. Lucia compresa) rimane vivo per appena quattro o cinque di essi «di altri rimangono i ruderi», come quelli della chiesa rupestre.

Fonte Prof. Salvatore D’Angelo- testimonianza inedita

Data:
03-11-2023